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Intolleranze alimentari: tanto se ne parla, quanto se ne sa?

  • Dott.ssa Braga e dott.ssa Quecchia
  • 14 giu 2016
  • Tempo di lettura: 2 min

Circa il 10-25% della popolazione adulta occidentale, soprattutto di sesso femminile, lamenta disturbi della funzionalità dell'intestino, che si manifestano con gonfiore, distensione e dolore addominale, meteorismo, borborigmi, flatulenza, disturbi dell'alvo, dalla diarrea alla stipsi, con un corredo sintomatologico che prevede cefalea, malessere, pesantezza gastrica e dispepsia, eruttazione, difficoltà di concentrazione, astenia, ansietà, depressione, sintomi che possono perdurare per anni, interferendo pesantemente sulla qualità della vita.

Molti trovano che l'assunzione di alcuni alimenti peggiora o scatena le coliche addominali e provano ad eliminare ora uno ora più alimenti, spesso in modo disordinato e scorretto, peggiorando la situazione con una dieta squilibrata.


Questi tentativi spesso sono assolutamente inefficaci.


Come affrontare allora la comparsa e la persistenza di gonfiore addominale e sintomatologia correlata?


Innanzitutto bisogna escludere la presenza di allergie alimentari, di intolleranza enzimatica al lattosio o di malattia celiaca, patologie che sono diagnosticate dagli Specialisti con relativi esami sierologici e test cutanei e strumentali.


Se non si evidenziano queste patologie viene posta la diagnosi di disturbi funzionali dell’intestino, che deriva dalla concomitanza di cause anatomiche, immunologiche, neurologiche, psicologiche, che variamente si sovrappongono e si peggiorano l’un l’altra.

Poiché gli alimenti rappresentano l’elemento scatenante, il paziente viene classificato genericamente come portatore di “intolleranza alimentare”, termine che sta dividendo il mondo scientifico proprio per la sua difficoltà classificativa e diagnostica, lasciando mano libera ai provvedimenti più diversi. Rimane il fatto che i pazienti lamentano un peggioramento dei sintomi dopo i pasti, senza però essere in grado di identificare l’alimento/i responsabile/i della sintomatologia.

In tali casi i consensus scientifici internazionali suggeriscono di ricorrere alle diete di eliminazione, come efficace mezzo diagnostico/terapeutico. Tali diete sono prive degli alimenti considerati i maggiori responsabili della sintomatologia intestinale: zuccheri, latte e latticini, additivi, farina e prodotti lievitati.


I lieviti e la fermentazione


Nel caso dei lieviti, un ampio gruppo di funghi, il legame con la sintomatologia è dato dalla loro capacità di indurre fermentazione.

La fermentazione è un processo fisiologico che serve ad ottenere energia, metabolizzando i glucidi e le proteine derivate dagli alimenti che ingeriamo.

In tale processo è coinvolto il Saccaromyces cerevisiae, un microrganismo eucariota anaerobio facoltativo: esso ricava cioè energia tramite un processo anaerobico o aerobico a seconda di dove si trova: in assenza di O2, come nel colon, si avrà la fermentazione, mentre in presenza di O2 si avrà la respirazione (lievitazione, nel caso di un impasto). Quando la fermentazione nell’intestino, dovuta all’ingestione di alimenti lievitati (carboidrati), è particolarmente significativa si ha un aumento della produzione di gas, della distensione del lume intestinale e del richiamo di acqua per effetto osmotico dai metaboliti alimentari, con conseguente gonfiore, dolore e colica addominale.

Per tale motivo, l’eliminazione degli alimenti con lievito può essere molto efficace nella diagnostica e nel trattamento delle sindromi da disfunzione intestinale.

Spesso questo tipo di dieta risulta diagnostica, perché permette di attribuire al lievito un ruolo scatenante, e risulta ovviamente terapeutica perché il miglioramento soggettivo è evidente e soddisfacente.

Dopo un congruo periodo di dieta bilanciata, seppur priva di lieviti e quindi di benessere, è possibile ed opportuno ritornare ad un’alimentazione completa, dopo un periodo di inserimento graduale degli alimenti esclusi.


Non dimentichiamo comunque che alla dieta dev’essere associata una rieducazione sia alimentare che dello stile di vita…ma questo è un altro discorso...

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